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Due madri nel deserto bianco


Questa storia nasce nel nord più profondo, nel nord dei ghiacci perenni, delle aurore boreali, delle notti e dei giorni più lunghi, dove vivono o possono vivere solo uomini forti e animali altrettanto forti e determinati.

Si narra che in un anno in cui le condizioni erano, se possibile, più dure del solito, avvenne un fatto che sarebbe rimasto nella memoria del mondo.

In una zona ritenuta sicura, una famiglia inuit, marito moglie e un bambino, aveva stabilito il suo igloo, il capo famiglia era partito per la caccia; in quell’ambiente si vive di caccia e di pesca, caccia ai mammiferi, foche o orsi, questi ultimi, però, meglio evitarli, pesca con il sistema del foro nel ghiaccio, faticoso e impegnativo.

Spinta dai morsi della fame e dall’esigenza di sfamare il suo orsetto, anche una mamma Orsa era in caccia.

In quegli spazi sconfinati raramente l’uomo e l’orso entrano in contatto volontariamente, ma la particolare difficoltà di quel periodo di caccia, spinse l’orsa ad avvicinarsi all’igloo.

Si verificò, così, l’incontro scontro di due mamme: l’orsa affamata e l’eschimese indifesa.

L’orsa mirava al bimbo eschimese, preda tenera e più facile, quindi iniziò la propria azione tesa a spaventare la mamma eschimese.

L’orsa ritta sulle zampe posteriori, agitava quelle anteriori, in modo minaccioso ed emetteva i suoi bramiti rauchi e profondi che si diffondevano nella distesa ghiacciata come il brontolio di un tuono.

Vista così, dalla piccola dimensione della mamma eschimese, l’orsa bianca, come tutto ciò che era visibile a perdita d’occhio, sembrava rappresentare tutto l’ambiente ostile che circondava l’igloo.

La mamma eschimese, però, aveva un mandato naturale da assolvere, difendere il suo bimbo, per questo a sua volta, si pose davanti all’orsa urlando e agitando le braccia.

La sua voce non era implorante, era decisa e diceva all’orsa: tu sei mamma come me, io non voglio far del male al tuo piccolo, perché tu ne vuoi fare al mio?

La scena durò per un tempo che sembrò eterno, durante il quale i due amori materni si confrontarono.

Alla fine, quasi che l’orsa avesse compreso le ragioni e condiviso il sentimento comune a quello della mamma eschimese, smise i suoi comportamenti spaventevoli e con un ultimo bramito, più tenue, come un sommesso saluto, abbandonò il campo e si allontanò.

Da allora, narra la leggenda, l’orso evita il contatto con l’uomo.

 

Sergio Cati